Mondo Lumsa

“Er Coridore” è il testo vincitore del primo “LUMSA Campus Novel”

Il contest di scrittura creativa Campus Novel, tra i progetti di Living in LUMSA, ha invitato gli studenti e le studentesse di tutti i corsi di laurea LUMSA a scrivere un racconto breve che prendesse spunto dal contesto universitario.

La Commissione del concorso, presieduta dal prof. Pietro Virgadamo e composta dai docenti LUMSA Caterina Verbaro e Daniele Anselmo e da Stas’ Gawroski, autore Rai, ha esaminato i testi elaborati dagli studenti ed ha premiato Er Coridore, racconto di Valentina Turchi, iscritta al II anno del Corso di Laurea magistrale in Marketing & digital communication presso il Dipartimento di Scienze umane.

Il racconto

«Er Coridore». Mi chiamano così. Mi avete riconosciuto? Vi potrei anche parlare in romanesco, magari vi faccio venire in mente qualcosa. Dalla mia posizione io vedo angeli immobili e palazzi maestosi.
Io sono quelle mura che vedono e ascoltano la città ogni giorno.
Ma le vostre voci sono di gran lunga più gradevoli.
Dal mio aspetto è evidente che sono un mucchio di mattoncini, messi accuratamente uno sopra l’altro, ma ho la capacità di ascoltare e vedere tutto quello che mi circonda.
Un Dio, poi, mi ha anche concesso il dono di partecipare all’evoluzione della vita sulla terra, e soprattutto, la capacità di ricordare e ragionare, un po’ come voi essere umani.
Quindi, mettiamo in chiaro una cosa, parlo la vostra lingua come potete notare, e non sono un semplice passaggio pedonale o delle mura storiche da fotografare.
Devo dire che ho una certa cultura in merito alla storia di questo posto, almeno dalla mia costruzione, ma le vostre vicende mi appassionano oltremisura. Più di tutti i miei mattoncini messi insieme.
È incredibile come le vostre storie sono tutte diverse, ogni giorno non succede mai la stessa cosa, voi rimanete in silenzio e i vostri occhi parlano al posto della vostra bocca.
Camminate, correte, state fermi. Io vi vedo.
Io sono sempre qui, immobile, che vi osservo e ogni tanto mi permetto anche di intervenire nelle vostre chiacchierate.
Solo che voi non mi sentite.
Ecco forse quel Dio qualche cosa non me l’ha concessa. Non vi preoccupate per me, me ne sono fatto una ragione, sono pur sempre un grande muro che vede e sente tutto, non è male.
Ma parliamo di voi, ultimamente non vi ho visti spesso, mi avete lasciato completamente da solo. Mi mancate perché mi tenete compagnia, voi non potete saperlo perché non mi sentite.
Voi mi fate ragionare molto sulla vita, sì, sulla vita mia e vostra.
Vi dico cosa si vede da qui. Ho scoperto che anche voi, molte volte, siete immobili come me, ma voi state seduti con la testa abbassata su dei fogli. Incredibile quanto tempo riuscite a stare in quella posizione. Io se avessi la facoltà di spostarmi, starei tutto il giorno qua e là.
Quindi, immagino che ciò che fate vi interessi talmente tanto da stare fermi sullo stesso punto per ore e ore. Strani voi esseri umani, però mi piace la vostra immobilità.
Non è uno stare fermi senza fare nulla, anche io che sono un essere statico faccio tante cose, per esempio penso a voi.
Il vostro stare fermi, in quel modo, mi dice che voi avete un affare da risolvere.
E ho notato che lo fate tutti i giorni. Chissà come lo chiamate voi, provo a descrivere ciò che immagino: il vostro stare fermi è sicuramente unito a qualcosa che non possedete ma volete avere, e voi siete lì a insistere, a fare quella cosa ripetutamente, fermi o leggermente in movimento, agili o lenti, decisi o titubanti.
Avere la testa piegata in quel modo, fissare un punto fisso, muovere le labbra, significherà pure qualcosa.
È possibile che vi veda parlare sia con altri di voi e sia con voi stessi, come del resto faccio io da sempre. Parlo con me stesso da quando sono stato costruito. Che peccato che non mi sentite.
Ma torniamo a quell’affare, secondo me voi avete un motivo importante per essere sempre lì. Da soli, insieme, siete sempre lì.
Una cosa è certa, io so riconoscere le cose belle, ciò che fate rientra sicuramente nelle bellezze di questo mondo. Si vede, lo leggo nelle vostre espressioni, ogni giorno.
Ci sono, poi, conversazioni tra di voi che mi colpiscono, ma questo succede quando siete più vicini a me. Adesso vi riporto alcune parole ascoltate ogni qual volta che mucchietti di voi si fermano di fronte ai miei archi.
Uno di questi pronunciava parole come basta, io ci rinuncio, sono stanco, non so che devo fare, quanto tempo, è troppo per me, non sono in grado.
È possibile che parlava di un qualcosa da lasciar perdere, come se non ce la facesse più a raggiungere quell’affare di cui parlavamo prima?!
Ho sentito, poi, alcuni di voi parlare di accontentarsi di qualcosa.
E ho visto e sentito urla di felicità, per aver ottenuto con grande successo un qualcosa.
Se l’intuito non m’inganna, il lasciar perdere penso significhi mollare la presa di un qualcosa, l’accontentarsi penso sia tenere stretto a sé ciò che si ha senza guardare oltre, e il successo il risultato di quell’insistere: azioni così diverse provenienti dallo stesso essere umano.
Ma come è possibile mi domando io? E com’è possibile che alcune di queste azioni fanno star male l’essere umano, che comunque riesce ad arrivare alla fine di quell’insistere.
Mi chiedo cos’è che vi permette di andare avanti, nonostante sentimenti negativi possano rallentare quel vostro insistere. Non rischiate che quei sentimenti interrompano proprio quell’insistere?».
«Dici che sei lì da tempo, che per questo hai cultura e che li vedi e ascolti tutti i giorni. Dispensi consigli di vita, chissà poi cosa intendi per vita, e non sai nemmeno chiamare le cose con il loro vero nome. Ora pretendi di capire cose che non appartengono nemmeno al tuo essere ma all’essenza degli esseri umani. Sei un tipo insolito devo dire».
«E tu perché stai camminando su di me? Hai due belle ali, il tuo portamento è così regale, il pelo morbido le tue piume sono tanto luccicanti che, fossi al posto tuo, me ne andrei qua e là».
«Mi presento, sono Pia e sono di passaggio. Non rimango molto, mi riposo un po’ su di te e poi non ti disturberò più».
«Aspetta un attimo, tu mi senti?»,
«Certo che ti sento, e ho ascoltato bene le tue parole in merito agli esseri umani. Ho ascoltato bene cosa dicevi a loro qui sotto».
«Insomma, io mi chiedo come fanno loro ad arrivare alla fine di quell’insistere? C’è una regola stabilita, c’è un modo scritto da qualche parte, c’è forse uno che detta la strada per loro. Sono un po’ confuso perché io li riconosco tutti e devo dire che nonostante siano così diversi, anche nelle loro azioni e stati d’animo, raggiungono prima o poi quell’affare»,
«Quell’affare di cui parli, caro mio, è per loro molto importante e ci tengono, hai detto bene. Non hanno una regola scritta, loro lo sanno e basta, è insito dentro di loro. Quella voglia di fare e anche quei turbamenti.
Se vuoi essere il loro punto di riferimento, il loro custode, devi sapere che sono fatti di emozioni, di imperfezioni, di momenti su e momenti giù»,
«Intendi dire, un mattoncino su e un mattoncino giù?»,
«Qualcosa del genere. Prima parlavi della loro diversità, in realtà loro sono diversi perché ogni essere umano, per definizione, è unico nella sua essenza.
Ognuno di loro, dunque, ha qualcosa di suo da dare a questo mondo, succede poi che qualcuno lo fa in un modo più diretto, arrivando dritto a quell’affare, e qualcun altro, forse ha bisogno di un po’ di tempo in più, o magari di uno come lui o diverso da lui che lo aiuti ad arrivare a quell’affare. Mi stai seguendo?»,
«Sì, dunque arrivano a quell’affare incastrando i loro mattoni l’uno con l’altro?»,
«Qualcosa del genere. Tu hai parlato di insistere. Tutti tendono ad insistere, però ognuno di loro ha una natura che lo influenza in quell’insistere. Chi tra loro pensa di arrendersi o vuole accontentarsi,
in un momento della sua vita, incontra qualcuno (proprio qui sotto, qui vicino a te!) che gli dice che quell’insistere lo porterà a migliorare sé stesso e questo mondo.
Quando uno vuole arrendersi e l’altro gli parla con fermezza, si chiama esserci per l’altro!»
«Fermezza, sì so cosa vuol dire. Resistere al suolo e dare il proprio mattone all’altro!»,
«Qualcosa del genere. C’è sempre qualcuno, in questo posto, che tu abbracci così saldamente, che ti aiuta in quell’insistere.
Qualcuno di loro può anche perdere qualche mattoncino nel tragitto, ma è qui il posto giusto per continuare a costruire qualcosa per sé.
Questo è un posto dove puoi solo trovare qualcuno che ti aiuti a mettere un nuovo mattoncino sul tuo mattoncino».
«Intendo, intendo. Io sono stato creato mattoncino dopo mattoncino, hai ragione, una mano sull’altra, una mano dopo l’altra.
E poi, eccomi qui un muro possente, dall’aspetto vigoroso. Il loro custode.
Ma posso chiederti come fai a sapere tutte queste cose di loro, io pensavo di essere l’unico a conoscerli davvero. Certo qualche cosa ancora mi sfugge, ma ci tengo a dire che è già un dono del Dio che son qui a parlare con te».
«Ti ricordo che gli esseri come noi, sono molto attenti alla vita sulla terra, soprattutto rispetto alle aree che sorvoliamo. Li vedo sempre, e anch’io li ascolto, gli esseri che più animano questa parte di mondo. Loro non solo l’abitano, sono la sua anima.
Loro sono ovunque qui.
Ora vado, ma se non ti dispiace posso tornare. Ti posso raccontare qualche altra cosa».
«Buon volo colombella, buon volo cara mia. Arrivederci!
Insomma, voi ci siete l’uno per l’altro. Ecco perché vi vedo sempre insieme, ecco perché tra mille emozioni, voi rimanete sempre qui.
Adesso vi capisco. L’uno verso l’altro. L’uno con l’altro, tenete duro, fino alla fine di quell’insistere.
Raggiungerete quell’affare, mattone dopo mattone».

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