Cultura

Sindrome di Wendy: da Peter Pan alla vita reale

La Sindrome di Wendy, meglio conosciuta come Sindrome della Crocerossina, è caratterizzata dalla necessità di soddisfare i bisogni altrui, rendendosi eccessivamente disponibili e propensi ad aiutare gli altri, anche a costo di sacrificare il proprio benessere.

Le origini del nome

La Sindrome di Wendy prende il nome dall’omonimo personaggio della storia di Peter Pan, l’opera più celebre di James Matthew Barrie. Wendy è una bambina che, contrariamente ai suoi coetanei, possiede un grande senso di responsabilità. Questo atteggiamento, la porta a comportarsi come una mamma nei confronti dei suoi fratelli minori, John e Michael, ma anche nei confronti di  Peter Pan e dei bambini sperduti dell’Isola che non c’è. Wendy ha una tendenza ossessiva ed instancabile a prendersi cura di tutti, anche a costo di sacrificare se stessa. Ed è proprio per questo che viene considerata la “crocerossina” per eccellenza: accudire gli altri la rende felice, perché la fa sentire meritevole del loro amore. 

ll meccanismo comportamentale della crocerossina

Coloro che soffrono della Sindrome di Wendy si sentono indispensabili per gli altri e contemporaneamente pensano che l’unico modo per guadagnarsi l’affetto di chi li circonda sia mostrarsi sempre gentili, disponibili e accondiscendenti. Di conseguenza,  i soggetti affetti da questa sindrome sono soliti  cercare,  consapevolmente,  dei partner o amici immaturi (i cosiddetti Peter Pan, che talvolta possono rivelarsi dei veri e propri narcisisti patologici che si approfittano della propensione all’altruismo delle crocerossine). Avere accanto persone bisognose d’aiuto dà l’occasione a chi soffre di questa sindrome di intervenire e salvare chi è in difficoltà, per il bisogno di essere riconosciuti e approvati dagli altri.

Cause e conseguenze

Ma cosa porta una persona a diventare una crocerossina? Le ragioni possono essere tante, ma nella maggior parte dei casi devono essere ricercate nell’infanzia, l’età in cui si forma il carattere di un bambino. Spesso, chi è affetto da questa sindrome ha sofferto l’assenza di figure genitoriali di riferimento (andando incontro a un’adultizzazione precoce), o ha vissuto  una situazione di iperprotezione. Proprio l’iperprotezione può aver causato un blocco dell’autonomia del bambino, che, di conseguenza, sente la necessità di dipendere da qualcun altro. Non a caso dietro questa sindrome si nasconde spesso una personalità dipendente, immancabilmente accompagnata dalla paura di ritrovarsi da soli.  Per questo motivo le crocerossine soffrono spessodi stress, ansia e dipendenza emotiva: l’aiuto che viene dato agli altri e il ritorno affettivo generato da esso diventano una sorta di ‘droga’ che attutisce l’insicurezza di chi soffre di questa sindrome.

Lasciare a casa il camice da crocerossina

Il primo passo per uscire da questa condizione, per quanto banale sia, è quello di prenderne consapevolezza: quasi mai, infatti, le crocerossine  si rendono conto di avere un problema, tendono a giustificare i propri comportamenti come puro altruismo e non ne vedono i tratti tossici. Per lasciare a casa il camice da crocerossina, però, è necessario saper riconoscere i propri atteggiamenti errati e  impegnarsi per modificarli. Bisogna  quindi partire dal cuore del problema, che di solito  risiede nella poca autostima e nella scarsa fiducia in se stessi. Come afferma la dott.ssa Rossella Valdré: «Non si tratta di un banale cambiamento di partner o di atteggiamento, si deve andare alle radici profonde della personalità, non è un cambiamento che si può affrontare da soli o con scorciatoie. Occorre rivolgersi con fiducia ad un professionista».

Elisa Siglioccolo

Studentessa di giornalismo a tempo pieno. Amante della fotografia, dei libri e dei viaggi. Scrivo per raccontare la bellezza che vedo nel mondo.

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