Esteri

Il “Dragone” in Africa

Negli ultimi secoli l’Africa è stata terreno di conquista e lo rimane tutt’oggi, nonostante  diverse dichiarazioni di indipendenza che, almeno in apparenza, rendono i suoi Stati liberi. Il continente africano è infatti preda di un nuovo colonialismo condotto da diverse potenze, tra cui spicca la Cina.

Il legame tra Cina e Africa

L’Africa ha sempre rivestito un’importanza fondamentale per la Cina sin dal 1949,  anno di fondazione della Repubblica popolare. Già da allora il continente africano era considerato essenziale per la diffusione dei principi della rivoluzione maoista.

La presenza cinese nel continente risale agli anni ’60, quando la Cina era intervenuta per fornire sostegno a numerosi movimenti di liberazione. Solo nel 2000 la potenza asiatica ha però, formalizzato il suo impegno politico e militare in Africa, fondando la “FOCAC” (acronimo per “Forum per la cooperazione Cina-Africa”), attraverso cui sono stati raggiunti numerosi traguardi come: la cancellazione del debito dei paesi africani nei confronti della Cina e l’istituzione di un fondo per incoraggiare gli investimenti cinesi in Africa.

Gli investimenti

Il “Dragone” nel tempo ha notevolmente aumentato la sua influenza, superando persino gli Stati Uniti e diventando il principale partner commerciale, nonché creditore. Ha finora investito in 52 stati africani cifre notevoli, che hanno raggiunto i 47.35 miliardi di dollari nel 2019; i motivi sono da ricercare nella crescente necessità cinese di materie prime di cui il sottosuolo africano è ricco. Sono aumentati anche gli acquisti di terre africane da parte di aziende asiatiche, causando gravi conseguenze, come le espulsioni delle popolazioni locali per l’utilizzo della terra a soli fini commerciali.

La strategia cinese

La strategia adottata dal governo di Pechino è stata definita come diplomazia della “trappola del debito” e consiste nel finanziamento, da parte cinese, di infrastrutture e opere talmente grandi in paesi che poi, non essendo in grado di restituire i prestiti ottenuti, sono costretti a cedere la proprietà delle infrastrutture stesse o in molti casi ad accordare, lo sfruttamento incondizionato del terreno. Ne è un esempio il caso dell’Uganda e del suo aeroporto. L’Uganda aveva chiesto un prestito alla “Export-Import Bank of China” di 207 miliardi di dollari per un progetto ambizioso, l’ammodernamento dell’aeroporto di Entebbe. Il governo ugandese, per stipulare il contratto con la banca, ha dovuto rinunciare alla clausola di immunità a garanzia dei prestiti trans-frontalieri, consentendo in tal modo alla banca di spostare la clausola di garanzia sullo scalo stesso. Una eventuale rinegoziazione del contratto farebbe scattare la suddetta clausola, con il conseguente passaggio  dell’aeroporto sotto il controllo del creditore cinese. Un altro esempio è il Kenya, ormai da anni ostaggio del debito maturato per il finanziamento di un progetto importante, la costruzione di mille miglia di ferrovia per mettere in collegamento il paese con l’Uganda. Tale progetto ha subito una battuta d’arresto a causa del covid e, data la eccessiva onerosità, è stata chiesta una rinegoziazione. Tuttavia, non c’è alcuna possibilità di prendere visione di questi nuovi contratti e nel caso del Kenya é abbastanza eclatante, poiché contravviene ad una petizione del tribunale di Nairobi che richiedeva l’esame dei documenti. La difficoltà a rendere pubblici i contratti cinesi é causata dalla presenza di numerose clausole di riservatezza, che impediscono ai mutuatari di rivelare i termini del contratto stesso e persino l’esistenza del debito. A queste si aggiunge la clausola che prevede lo sganciamento del finanziamento da qualunque operazione di ristrutturazione; ciò significa che, qualora un paese dovesse rinegoziare parte del suo debito, il prestito concesso dalla Cina é escluso dall’operazione e quindi risulterebbe impossibile modificarne il tasso.

Come è vista la presenza cinese

Secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Fuzhou in Cina, la presenza cinese non sembra essere mal vista dagli africani per vari motivi: da un punto di vista materiale, gli investimenti cinesi comportano un indubbio miglioramento e una relativa evoluzione delle infrastrutture e della logistica dei paesi interessati; c’é inoltre un motivo più profondo, che risiede in una comunanza ideologica tra Cina e Africa, che ha portato alla creazione della stessa FOCAC. Diversamente la presenza europea o americana, viene ancora vista con sospetto, come un’azione ascrivibile a un neocolonialismo. La Cina, presentandosi ancora come stato emergente, riesce meglio a inserirsi dal punto di vista commerciale in Africa, favorendo l’illusione che gli accordi  stipulati siano paritari. Bisogna inoltre ricordare che il legame tra Cina e Africa è profondo e affonda le sue radici negli anni ’50, ai tempi della reggenza di Mao. In quel periodo il paese asiatico non ha certo fatto mancare il suo supporto economico al continente africano creando uno stretto legame che permane tutt’ora.

Edoardo Sabeddu

Goriziano errante al secondo anno di Scienze politiche appassionato di storia e politica, ma anche cinema e fotografia.

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