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Revenge porn: la violenza digitale

L’espressione revenge porn, figlia di un anglismo riportato troppo spesso nel nostro quotidiano, viene definita come “pornografia non consensuale”; si tratta della condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il consenso di quest’ultima.

Il fenomeno del revenge porn, come quello del cyberstalking o del bullismo in rete, ha trovato terreno fertile grazie ad internet e ai social media, ormai padroni indiscussi della nostra quotidianità. Ciò che li accomuna è la violazione, gravissima, dei diritti della persona, quali:

  • Il diritto all’immagine ex art. 10 c.c. e 2043 c.c. in quanto diritto assoluto della persona
  • Il diritto alla riservatezza, desumibile dall’art. 13 della Costituzione, nonché contenuto nell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
  • Il diritto alla privacy, del quale si occupa il codice penale agli artt. 615-bis e 617-bis

Il caso “madre” di Tiziana Cantone

Era il 25 aprile 2015 quando il fidanzato di Tiziana Cantone diffuse un suo video intimo senza il suo consenso. Pochi giorni dopo il mondo del web fece il resto, ponendo la salute mentale di Tiziana in una condizione irreversibile. Il video divenne virale; la notizia anche, grazie all’indelicatezza di alcuni quotidiani, divenne incontrollabile, e la ragazza, schiacciata dai giudizi e dallo stigma sociale subito, si tolse la vita. Questo caso ancora oggi viene considerato il caso “madre” che ha portato all’aggiunta, tramite l’art 10 della legge n. 69/2019 (cd. Codice Rosso), del controverso articolo 612-ter all’interno del codice penale.

Il controverso articolo 612-ter del Codice Penale

Il 612-ter, prevede che “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.

Tale pena, viene richiamata anche nel secondo comma, e si applica anche a chi, avendo ricevuto o acquisito il materiale, lo diffonde a sua volta. Il suddetto articolo, osannato da un lato per aver colmato il vuoto normativo precedente, è stato criticato dall’altro per la poca specificità di alcuni passaggi, come per esempio quelli relativi alla modalità di diffusione del materiale incriminato; ancora e soprattutto, per la mancanza di responsabilità in capo ai social network, che veicolano contenuti inappropriati, nonostante la richiesta di rimozione di questi ultimi per il cosiddetto “diritto all’oblio” da parte della vittima (vd. Il caso Cantone vs. Facebook).

Lo scenario odierno

È noto il caso della maestra d’asilo di Torino, tradita dal suo ex compagno nel 2018, che aveva diffuso del materiale intimo sulla chat del calcetto. L’ormai reato del suo ex compagno le è costato però il lavoro da maestra, anche a causa di un “linciaggio” online perpetuato da una madre che aveva diffuso, indignata, il materiale hard. Il primo dicembre scorso, la maestra in questione, grazie all’introduzione nell’ordinamento dell’art. 612-ter, seppur lacunoso in alcune parti, ha avuto la sua rivincita. La giovane maestra ha reso la sua testimonianza in tribunale potendo raccontare la verità sui fatti accaduti.

Pochi giorni fa, il ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha comunicato che le inchieste aperte circa il revenge porn sono 1083, e sono in continuo aumento. Il lato positivo del dato, è che le vittime, risultano essere più propense a denunciare.

Come difendersi?

Per quanto sia sconsigliabile condividere determinati contenuti con una terza persona, seppur intima, nessuno può giudicare la sfera personale altrui. E se mai ci si dovesse trovare in una situazione del genere, cosa fare? Sicuramente il primo passo sarebbe sporgere querela entro 6 mesi dal fatto e sarà poi la polizia postale, incaricata dal PM, a pensare alla raccolta delle prove. Se la vittima però non riesce a intentare tale iter, a causa di un turbamento psicologico-emotivo, associazioni come “Permessonegato.it” fondata da Matteo Flora, possono fornire tutta l’assistenza necessaria, gratuitamente. Il tutto affinché, si possa arrivare ad abbattere il pregiudizio sociale e comprendere chi è il vero colpevole e chi la vittima.

Francesca Oddi

Dottoressa in Giurisprudenza. Romana di nascita, ma veneziana d'adozione. Scrivo e coordino il magazine LUMSA dal primo anno di università. https://www.linkedin.com/in/francesca-oddi-134880115/

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