D’Amore (ManagerItalia): ‘molte ricette per giovani. Tutte sbagliate’
Michele D’Amore è il Segretario Generale di Manageritalia Lazio Abruzzo Molise Sardegna e Umbria, associazione territoriale di cinque regioni del centro Italia che fa capo a Manageritalia, la Federazione nazionale dei dirigenti, quadri ed executive professional del commercio, trasporti, turismo, servizi e terziario avanzato. In quest’intervista sul mondo del lavoro, rivolta ai giovani studenti della LUMSA, D’Amore ha imposto solo due “regole”: la prima, che avrei potuto rivolgergli le mie domande senza avere limiti di tempo. La seconda, di dargli del tu.
Come pensi che i giovani possano collaborare con i lavoratori più esperti per migliorare il mondo del lavoro?
Questa è una domanda difficile perché il mondo del lavoro cambia radicalmente e costantemente: soprattutto il settore terziario richiede una sensibilità alla flessibilità. Noi adulti abbiamo molte ricette per voi: sono tutte sbagliate. Secondo me il miglior modo di lavorare è darci stimoli e idee a vicenda, in completa trasparenza. Il sistema universitario non parla con il sistema produttivo di questo Paese: anche l’Università deve fare uno sforzo per collaborare con le aziende, e da questo punto di vista la LUMSA è molto avanti.
Qual è la differenza tra uomini e donne nel mondo del lavoro dirigenziale?
Proprio per la festa della donna è uscito il report di ManagerItalia che mostra come il numero di donne dirigenti sia di circa il 20%. E poi a parità di funzioni e di ruolo il direttore amministrativo donna, contro il direttore amministrativo uomo della stessa età e anzianità, guadagna di meno. L’altro giorno abbiamo incontrato degli studenti dell’Università e in un tavolo pieno di studentesse c’erano solo quattro ragazzi. Bisognerebbe vedere tra 3-4 anni, quando tutti lavoreranno, la situazione del gap retributivo. Noto anche un altro fenomeno interessante: le donne che raggiungono posizioni di potere vanno incontro a una sorta di processo di mascolinizzazione, o di “tailleurizzazione”: indossando il tailleur utilizzano le dinamiche degli uomini per affermarsi nella loro posizione. Io ho sempre ritenuto le donne dotate di una sensibilità e di un’intelligenza organizzativa diverse rispetto agli uomini, e quando arrivano in posizioni di potere questo approccio viene abbandonato.
Il Meritometro, l’indicatore europeo che misura il livello di meritocrazia di un Paese, è elaborato dal Forum della Meritocrazia in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano. Si basa su 7 pilastri: libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza e mobilità sociale. Nel 2018 l’Italia, per il quarto anno di fila, si è confermata ultima in Europa. Lavorando con dirigenti, ritieni che l’Italia sia un paese meritocratico?
Assolutamente no. Dobbiamo lavorare molto, ma abbiamo anche dei punti di forza: il sistema scolastico italiano è ottimo e bisogna prendere consapevolezza che i nostri talenti sono molto apprezzati all’estero. Occorre collaborare con le aziende e soprattutto con la politica affinché, con piani pluriennali di sviluppo, si creino le condizioni per un ambiente meritocratico.
Smart working e settimana corta: nella tua esperienza in contatto con lavoratori di un settore specifico, il terziario, le ritieni applicabili in Italia?
Lo smart working deve essere analizzato attentamente: alcune posizioni non possono richiederlo, mentre altre sì. Il lavoro è fatto di persone che si confrontano, che entrano in relazione: si pensi all’ufficio sindacale dove le persone approdano nel momento in cui hanno bisogno di una consulenza molto delicata. Perciò sono favorevole ma sempre facendo un’analisi di contesto. La settimana corta? Lavoro non significa quantità, ma qualità. Sono dell’idea che se affido un lavoro poi non importa dove o in che tempi: basta che sia portato a termine.