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Social e bullismo, quanti danni dagli insulti online 

“Sfigato”, “ciccione”, “devi morire”. Sono solo alcuni degli insulti che i teenager italiani si sentono dire tutti i giorni, soprattutto sui social. Le conseguenze sono incalcolabili: ansia, paranoia, depressione, fino a gesti estremi come il suicidio. 

Sono passati dodici anni da quando Leonardo (nome di fantasia) ha deciso di cambiare scuola e trasferirsi in un’altra città. Le ragioni? I pugni, le sigarette spente addosso e le prese in giro per il suo aspetto fisico nelle chat segrete dei compagni di classe. La storia di Leonardo è solo un esempio della realtà che si nasconde dietro al cyberbullismo. Un fenomeno complesso con cui si identificano le manifestazioni d’odio online, sempre più difficili da delimitare tra i moltissimi contenuti in rete. Queste azioni si caratterizzano principalmente per l’utilizzo di supporti come le piattaforme social e la rete, in grado di favorire la disinibizione verso la vittima, distante dal suo aguzzino virtuale. Un fenomeno che “non ha più un limite” secondo lo psichiatra Federico Tonioni, già direttore del Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web del Policlinico Gemelli di Roma. 

Ma la rete e i social hanno davvero amplificato il fenomeno? La risposta, stando alle stime dell’Istituto Superiore di sanità, è sì. A crescere in maniera più sensibile sono proprio le vittime di cyberbullismo: tra il 2018 e il 2022, infatti, i numeri sono quasi raddoppiati. Un aumento che colpisce maggiormente le ragazze in ogni fascia d’età, a differenza del bullismo tradizionale, le cui prede sono invece per lo più maschi di 11 anni. 

Con un numero crescente di adolescenti che entrano in possesso di dispositivi digitali in età sempre più giovane, il rischio che il cyberbullismo aumenti anche nei prossimi anni è altissimo. Uno scenario che in Italia il mondo della politica e delle istituzioni ha iniziato a prendere in considerazione solo sette anni fa. Prima del 2017 non esisteva alcuna legge sul cyberbullismo, né una definizione chiara. C’è voluta Carolina Picchio – la prima persona in Italia a togliersi la vita per le persecuzioni subite sui social – per ottenere un quadro normativo che stabilisse la correlazione tra determinate condotte e il fenomeno. Uno strumento che “è sufficiente ma non basta”, spiega Eleonora Nocito, avvocata penalista esperta in bullismo e cyberbullismo. 

Se la vita dei giovani passa per internet, è importante continuare a essere presenti nello spazio virtuale anche quando la rete diventa insicura e piena di insidie. Oggi è ancora più importante educare e non privare i ragazzi dell’uso dei social, ma sensibilizzarli sulle problematiche derivanti dal mondo online. Quando i social diventano eco del bullismo, la prevenzione si rivela di vitale importanza.

di Maria Sole Betti, Allegra Civai, Samuele Avantaggiato, Alessandra Bucchi e Giulia Chiara Cortese – Master in giornalismo della LUMSA

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