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La Macchina per Scrivere, amore e nostalgia 

La macchina per scrivere è stata una delle invenzioni che ha rivoluzionato il mondo, in particolare quello dell’informazione. Può essere considerata come il tassello di un lungo percorso che ci ha portato fino agli odierni computer.

Il suo sviluppo ha richiesto molto tempo ed è costellato di successi. Molti hanno tentato di accaparrarsi la titolarità di questa grande invenzione da cui ne risulta la complessità nel tracciare una successione lineare. 

I primi passi

La prima data certa, quella che segna l’avvio dello sviluppo della macchina per scrivere è il 23 luglio 1829, quando William Austin Burt ricevette il brevetto per aver inventato il tipografo. Burt concepì questo dispositivo per velocizzare il lavoro negli uffici statali. Il suo funzionamento era piuttosto semplice, una leva meccanica che attraverso il suo movimento permetteva di imprimere sulla carta delle lettere, velocizzando molto la redazione degli atti amministrativi negli uffici.

Il primo esemplare di Burt fu fondamentale per lo sviluppo delle successive macchine. Importanti  furono le invenzioni di Giuseppe Ravizza, un ingegnere italiano a cui si deve la costruzione della prima macchina per scrivere come la intendiamo oggi: nel 1837 creò il cosiddetto “cembalo scrivano”, chiamato così per la curiosa forma dei tasti presi direttamente da un clavicembalo;  ma fu all’Esposizione Industriale di Torino nel 1856 che il primo prototipo fu ulteriormente migliorato e dotato di 32 tasti. La macchina di Ravizza costituiva un passo in avanti verso la realizzazione di un dispositivo con cui scrivere meccanicamente.

La produzione industriale 

Fino a quel momento le produzioni rimanevano però artigianali o limitate a pochissimi pezzi, una vera produzione industriale della macchina per scrivere si ebbe solo a fine Ottocento. La Remington No.1 fu la prima macchina ad essere moderna sia dal punto di vista progettuale che produttivo. Concepita da Sholes, aveva trovato supporto dall’azienda Remington, specializzata in armamenti ma che tentava di differenziare la produzione. L’azienda acquistò i diritti della macchina di Sholes e la mise in vendita nel 1874 con il nome di “Typewriter” (macchina per scrivere).

I primi modelli di macchina per scrivere prodotti da Remington erano conosciuti con il nome “Qwerty” per la disposizione delle prime 5 lettere in alto a destra, disposizione usata ancora oggi da numerose aziende produttrici di elettronica.

Se il modello “Qwerty” prodotto da Remington è riconosciuto come la prima macchina per scrivere a conquistare la società americana, fu un’altra azienda a imporsi come “leader” nella produzione industriale, la “Underwood Typewriter Company”. L’azienda dopo aver acquistato il brevetto dell’inventore tedesco Franz Xaver Wagner, aveva iniziato a produrre macchine per scrivere caratterizzate dalla scrittura frontale, mentre inizialmente il carattere batteva sul retro del rullo. Veniva risolto uno dei grandi problemi delle prime macchine, permettendo così al dattilografo di vedere immediatamente possibili errori.

In Italia 

In questo contesto dinamico si inserisce l’azione di Camillo Olivetti, il quale riuscì a replicare in Italia il grande successo che le macchine per scrivere riscuotevano in America. L’azienda Olivetti fu costituita nel 1908 come “prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere” e si distinse fin da subito per la sua attenzione all’innovazione e alla tecnologia. La prima Olivetti (chiamata M1) fu presentata all’Esposizione Universale di Torino del 1911: era molto simile ai primi modelli prodotti dalla Underwood ma presentava anche miglioramenti notevoli che consentivano una semplicità nell’utilizzo. Della M1 furono prodotti seimila esemplari destinati al mercato italiano, nell’arco di tempo che va dal 1911 al 1920. Il nuovo modello prodotto dal 1920 e presentato alla Fiera di Bruxelles, la M20, riuscì ben presto ad imporsi a livello globale.

La Olivetti raggiunse una serie di traguardi senza precedenti sia in campo tecnico, sia di design:  nel 1963 introdusse la lettera 32 diventata subito popolare tra studenti e giornalisti e nel 1968 venne presentata la famosissima Valentine, era la prima macchina per scrivere costruita interamente in plastica e portatile (con la sua custodia poteva essere trasportata come una valigetta).

La fine di un era 

Con la digitalizzazione e l’avvento dei computer, la macchina per scrivere è caduta in disuso, rimanendo un oggetto solo per collezionisti e nostalgici. Nel 2006, grazie allo spirito di iniziativa di un appassionato collezionista, Umberto Di Donato, è nato a Milano il Museo della Macchina per Scrivere: 200 pezzi, comprese alcune macchine da calcolo. Oggi, a distanza di 16 anni, la collezione conta più di 1800 macchine, tra cui alcune antichissime

Edoardo Sabeddu

Goriziano errante al secondo anno di Scienze politiche appassionato di storia e politica, ma anche cinema e fotografia.

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