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Sharenting: cos’è e perché dovrebbe interessarci

Il termine sharenting nasce dall’unione di due parole inglesi, “share” e “parenting”, che significano, rispettivamente, ‘condividere’ ed ‘essere genitori’. Il fenomeno consiste nella pratica da parte dei genitori di condividere su Internet e nei social media le foto dei propri figli, anche quando minorenni.

Le perplessità al riguardo, soprattutto da un punto di vista etico, nascono in modo particolare proprio quando i figli coinvolti sono minorenni, e quindi poco consapevoli in materia di consenso e di diritto alla privacy dei bambini, perché spesso i genitori non consultano i loro figli prima di condividere online contenuti che li ritraggono. Infatti, come ha sottolineato l’UNICEF nel 2017, nel documento Children and the Data Cycle: Rights and Ethics and Big Data World, “la persistenza dei dati raccolti […] può avere un impatto nell’arco della vita futura del bambino con implicazioni anche a lungo termine”.

Il fenomeno dello sharenting ha iniziato ad avere implicazioni giuridiche solo di recente, sia in seguito alle numerose campagne di educazione e responsabilizzazione digitali intraprese a livello nazionale e sovranazionale, sia alla luce degli studi realizzati soprattutto nel periodo Covid, che hanno confermato un aumento esponenziale delle iscrizioni sui social media e del tempo passato su Internet da adulti e minori. C’è poi da tener conto di un altro aspetto, e cioè che è da poco tempo che i figli dei primi casi di sharenting, ormai adulti, hanno iniziato a testimoniare le conseguenze dannose derivate dalla sovraesposizione della loro immagine online.

Le fonti giuridiche che regolano questo fenomeno

La frase chiave per comprendere l’orientamento delle fonti giuridiche che disciplinano la presenza dei minori su Internet è che essa debba svolgersi nell’esclusivo “interesse del minore”. Su questa linea la Recommendation of the Committee OF Ministers to Member States on Guidelines to Respect, Protect and Fulfil the Rights of the Child in the Digital Environment sottolinea che “in tutte le azioni che riguardano i bambini nell’ambiente digitale, il migliore interesse del bambino dovrà essere di prioritaria considerazione”. Secondo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per la valutazione del “migliore interesse” occorre esaminare le “indubbie qualità personali e l’attitudine per l’educazione dei bambini”.

Come stabilito dal Regolamento Europeo sul trattamento dei dati personali (cosiddetto GDPR), il consenso per il trattamento può essere prestato dai minorenni che abbiano almeno 16 anni: gli Stati europei sono liberi di abbassare tale soglia e l’Italia ha accolto questa possibilità, fissandola a 14 anni (d.lgs n. 101/2018). Al di sotto di questo limite il trattamento dei dati è lecito solo se il consenso sia dato dal titolare della responsabilità genitoriale e – di nuovo – nell’esclusivo interesse del minore.

I pericoli dello sharenting

Oltre a mettere a rischio la corretta formazione della personalità del minore, la sovraesposizione dell’immagine dei minorenni online potrebbe portare a un suo utilizzo improprio da parte di terzi (tra i casi più gravi, l’alimentazione del fenomeno dei siti e chat pornografiche). Inoltre, anche i minorenni sono titolari di un diritto alla privacy, la cui lesione inciderebbe sulla serenità dello sviluppo del loro benessere psicofisico. Per questo motivo il Garante della Privacy e le autorità legislative invitano alla massima cautela nel condividere sul web le foto dei minori, e provvedono ad adottare misure sempre più numerose per evitarne lo sfruttamento sconsiderato per scopi di marketing e di lucro. 

Francesca Belperio

Romana, classe ’01. Sono una giovane giurista con una passione per il giornalismo e i pinguini. Sogno di vivere a New York e nel frattempo mi cimento nel teatro, nella danza e nel campeggio. Determinata, ottimista, riflessiva: il mio motto? “Sorridi alla vita e la vita ti sorriderà”.

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